O U L I P O

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Giovedì 24 novembre 1960, nella cantina del "Vero Guascone", si ritrovarono sette amici dagli interessi complementari: matematici che avevano a cuore la letteratura, uomini di lettere con l'amore per le scienze esatte. Era nato l'OULIPO (sigla dell'Ouvroir de Littérature Potentielle); il matematico-scacchista François Le Lionnais l'aveva fondato, lo scrittore Raymond Queneau, autore ancora soltanto di cinque o sei sonetti dei suoi Cent mille milliards de poèmes, aveva immediatamente aderito e con lui gli altri: Jacques Bens, Claude Berge, Jacques Ducheteau, Jean Lescure e Jean Queval.

Nel gruppo dell'OULIPO si continua ancora oggi ad esplorare sistematicamente la potenzialità della lingua con il continuo obiettivo di produrre nuovi procedimenti, nuove forme e strutture letterarie suscettibili di generare poesie, romanzi, testi rispondenti a prefissate contraintes, prescindendo quindi, almeno in parte, dal tradizionale concetto di ispirazione.

L'ispirazione di un'opera letteraria, dicono i fondatori dell'OULIPO, deve comunque adattarsi ad una serie di procedure e costrizioni, costrizioni grammaticali, lessicali, di struttura. L'obiettivo dell'Ouvroir fu quello di modificare o ampliare di numero tali limitazioni ormai codificate e consolidate. Coloro che aderirono a questo programma si proposero di dimostrare come tali costrizioni fossero propizie, generose, e come a volte fossero la letteratura stessa; si proposero, inoltre, di scoprirne di nuove sotto il nome di "strutture" e di dare per ognuna di esse, esempi in piccole quantità.

Contraintes come l' "acrostico", il "lipogramma", il "palindromo", l' "olorima", ritenute sterili esercitazioni dalla maggior parte degli uomini di lettere e meritevoli soltanto di una smorfia divertita, vengono difese e sostenute dagli oulipiani: il solo fatto di concludere un'operazione tanto restrittiva può essere una giustificazione sufficiente dell'opera. Quando Raymond Queneau cercava di spiegare cosa fosse l'OULIPO, egli precisava che alcuni suoi lavori potevano pur sembrare semplici scherzi, semplici jeux d'esprit, ma ricordava che anche la topologia o la teoria dei numeri vennero fuori, almeno in parte, da quella che una volta si chiamava la "matematica divertente". "Si può pure ritenere" -dice Queneau- "che i Carolingi, il giorno in cui hanno incominciato a contare sulle dita 6, 8, 12 per fare versi, hanno compiuto un lavoro oulipiano". I suoi Cent mille milliards de poèmes costituiscono il passaggio dalla matematica alla sua "letteralizzazione": vengono scritti dieci sonetti con le stesse rime e con una struttura grammaticale tale che ogni verso di ciascun sonetto è intercambiabile con ogni altro verso situato nella stessa posizione. Per ciascun verso si avranno così dieci possibili scelte indipendenti; poiché i versi sono 14, si avranno in totale 1014 sonetti, cioè centomila miliardi di poesie. Un'altra opera di Queneau, Exercises de style, nasce invece dall'idea di realizzare in campo letterario quella libertà di variazioni su tema possibile nella musica e così un semplice e insignificante episodio di vita quotidiana viene ripetuto 99 volte in 99 stili differenti: c'è la maniera lipogrammatica, la versione filosofica, la trasposizione giudiziaria, la traduzione onomatopeica, lo stile ampolloso, la lettura retrograda, quella telegrafica, quella in versi ed altre ancora.

Gli oulipiani hanno sempre avuto a cuore la lezione originaria consistente nel suscitare l'immaginazione o l'ispirazione sottomettendosi a nuove rigide regole e liberandosi, così, da antiche forme ed espressioni. Essi partono dall'idea che la scrittura necessiti di impalcature rigorose, anche se non sempre visibili, né decifrabili. Si tratta di strutture scelte volontariamente dall'autore dell'opera, ma che, una volta assunte, diventano obbligatorie; né si pensi che ciò debba costituire, sostengono gli oulipiani, un legaccio, uno scomodo impedimento a quella che tradizionalmente viene detta libertà dell'autore, alla sua ispirazione.

L'esempio de La Disparition di Perec è illuminante: l'oggetto sparito è la lettera 'e', mai usata nel corso del romanzo. La regola nascosta, ma pure soto gli occhi di tutti, era sfuggita ai critici, che lessero La Disparition come un romanzo "normale". In realtà si trattava di un testo, che faceva totalmente a meno di una vocale, che pure nella lingua francese è frequente come in italiano. E in séguito lo stesso Perec ha superato una prova ancora più ardua con un altro romanzo, Les Revenentes: 127 pagine scritte usando come vocale soltanto la 'e'.

E' naturale che uno degli artifici più ricorrenti nei testi oulipiani è affidato alle sorprendenti omofonie della lingua francese (e le composizioni olorimiche di alcuni poeti francesi possono essere considerate un'interessante anticipazione delle mode oulipiane): in questa poesia di Louise de Vilmorin, ad esempio, ciascun verso della prima strofa ha la stessa lettura fonetica del corrispondente verso della seconda strofa.

Au long des mois
Par la Savoie
Six reines, alors riant,
Paraissaient.
L'une, saoule et nue
et tard, osa ces mots:
"S'en va l'heure,


Oh, l'onde et moi",
Parla sa voix,
quot;Sirénes à l'Orient
Paressaient !
Lune sous les nuées,
ta rose a ses maux
Sans valeur !"


Ancora più straordinario è l'effetto prodotto da una delirante costruzione degli oulipiani Paul Fournel e Jacques Roubaud: L'Hotel de Sens .

E' una storia fantastica, nella quale una successione di quattordici lettere dà luogo ad una serie sorprendente di diverse letture, una storia deliziosa che narra di un piccolo albergo condotto da Monsieur Moriarty con l'aiuto di due vezzose gemelle, la disordinatissima Amélie e la diligentissima Mélie. L'albergo pare votato ad una tranquilla routine fin quando non arriva un quartetto di ospiti stranamente assortito: il filosofo Nietzsche, i suoi amici (!) Rilke, Rée ed il "celebre" detective Dupin; sono tutti alla ricerca della bella amica Lou Salome e sono convinti che si trovi sequestrata in quell'albergo. Ma Moriarty nega: d'altronde egli è in grado di conoscere quanto avviene nelle stanze del suo albergo grazie a un sorprendente congegno: una sorta di orologio posto alla parete della hall reca le ore abbinate ad una lettera e la sua unica lancetta servirà a scandire ore particolari, ricche di sorprendenti rivelazioni. Basta leggere di séguito le lettere in senso orario a partire da quellaindicata.

Al n° 1 Amélie, come al solito, comincia a mettere disordine in camera: AMELIE FOUT LE BORDEL

Più avanti, nella camera n° 6, Mélie rimbocca le coperte ad un vecchio ospite pazzo e avaro: FOU LE BORD, LA MELIE.

Al n° 10 un'eccentrica contessa si prepara per il ballo mascherato. Ha convocato per un'ultima prova il suo sarto cinese Li-Fou, al quale chiede un orlo dorato per rendere il vestito più vivace: LE BORD DE LAME, LI-FOU!

Amélie è nella camera n° 15 occupata da una cliente scozzese, la quale non vuol pagare i pasti non consumati all'hotel. Ma la signora, spiega Amélie ad un altro cliente venutole in aiuto come interprete, ELLE A MES LIT "FULL BOARD".

E così, ad una ad una, Moriarty riesce a mostrare come tutte le camere siano tranquille e non abbiano nulla da nascondere. Ma al bravo Dupin non sfugge la possibilità di un Hotel de Sens contraire, l'eventualità di una lettura in senso antiorario. E' così che nella camera n° 2 si vede rinchiusa, nuda, la bella Lou, la quale, dopo aver stordito il suo guardiano ed avergli rubato la pistola, riesce a fuggire: MAL DEROBEE, LOU FILAIT.

Sempre nuda, Lou passa al n° 11, dove il preromantico Hoffmann, trovandosela di fronte, dimentica tutte le proprie tristezze ed esclama: BELLE OU FILE MA LAIDE HEURE.

Lou entra nella camera n° 4; c'è con lei il poeta Lamartine, che le mostra i vestiti lasciati dalla sua Elvire prima di annegare: LES MALLES DE ROBES, LOU FIT.

Infine (anche questa versione au contraire prevede il controllo di tutte le stanze), Lou entra nella camera n° 14; è quella di un dottore in chimica. Sul comodino ci sono le chiavi di un'automobile: è un'auto tedesca. Lou domanda come potrebbe fare a scappare senza essere vista ed egli le risponde che può nascondersi dietro, nel baule: DR., OPEL, OU FILER? -MALLE!

Ma sulla porta dell'albergo Lou incontra i suoi amici e la brutta avventura si conclude felicemente. Nell'albergo, assicurati i responsabili alla giustizia, ritorna la calma e la vita riprende il suo corso abituale. Per convincersene basterà dare di nuovo uno sguardo all' "orologio" ed ogni sua "ora" darà luogo ancora ad una diversa lettura, segno del sereno scorrere dell'attività d'ogni giorno: sarà l'Hotel de bon Sens.

Una delle esercitazioni omofoniche dell'oulipiana Michèle Métail si basa sui nomi di località di dipartimenti francesi: attraverso essi, ordinatamente, Métail ha ottenuto risultati sorprendenti. La sua raccolta comprende 101 testi numerati secondo il codice di vari dipartimenti. Così, ad esempio, partendo dalle "Alpi Marittime", con le sue località Cannes - Mandelieu - Valauris, si può formare la frase qu'à ne mander lieu va l'haut risque. Pure l'isola di Corsica, con i nomi di Corse - Bastia - Corte, può condurre ad una breve proposizione: l'accord se bâtit à corps terrifié. Le località della Gironda La Teste - Arcachon - Margaux - Gironde - Bordeaux, permettono di realizzare la frase: la tete de lard! Cachons Margot qui gît ronde en son bord d'eau.

Un altro originale divertissement oulipiano della stessa Michèle Métail (ma qui il gioco coinvolge più il significato che il significante) si intitola Portraits-Robots, vale a dire "identikit", una "iconografia mentale", dice il sottotitolo "alla maniera di Arcimboldo e di Nicolas de Lamossin". Si tratta di una serie di 50 ritratti costruiti in maniera analoga: si va dallo "scrittore" alla "donna fatale", dal "geografo" allo "storiografo", dall' "uomo politico" al "giardiniere", dal "metallurgico" al "musicista". L'architetto, ad esempio è:

 

 tête
de mur / figure d'un bâtiment / faces de l'architrave / front d'un monument / oeil de pont / nez de marche / bouche d'égoût / menton à triple étage / gorge de raccordement / épaule de bastion / main d'oeuvre / corps de logis / tronc de colonne / coeur de la ville / veine porte / jambe d'encoignure / cheville en bois / pied de l'escalier.

Le "poesie" di Alphabets di Georges Perec offrono nella stessa pagina, su di un lato un quadrato di undici lettere per undici e sull'altro le stesse lettere spiegate, inframmezzate da spazi-silenzi diversi. Perec parla paradossalmente di una "traduzione in prosa della poesia", come se la poesia fosse un quadro chiuso ad ogni altra rappresentazione che non sia la sua stessa chiusura, come se la prosa fosse il luogo della punteggiatura, degli spazi, della rappresentazione, come se le lettere si ritrovassero a dare dimostrazione della loro inimmaginabile versatilità.

Ciascuno dei 176 testi della raccolta è un onzain, poesia di undici versi; ogni suo verso ha undici lettere; ogni verso utilizza una stessa serie di lettere diverse tra loro. Tutte le poesie hanno in comune le dieci lettere più frequenti dell'alfabeto francese:
E-S-A-R-T-I-N-U-L-O. L'undicesima lettera è una delle sedici rimanenti. Ci sono undici poesie in 'B', undici poesie in 'C' ecc., nel complesso 16x11 = 176 poesie.

L A N G E S O U R I T L'ange sourit.
A L O R S G E I N T U
Alors geint un glas tiré ou
N G L A S T I R E O U grelot a su nier salut.
G R E L O T A S U N I
E R S A L U T O N G I
On gisait.
S A I T O L U R N E G O, l'urne, gourant le si guignart,
O U R A N T L E S I G
le sorti sang, élu, oint, eu, gras,
U I G N A R T L E S O lotion à sûr gel!
R T I S A N G E L U O
I N T E U G R A S L O
T I O N A S U R G E L

Sullo stesso schema, con la combinazione in 'C', Perec giunse a comporre un unico testo, Ulcerations, composto di 400 permutazioni: è la prima pubblicazione de "La Bibliothèque Oulipienne".

Sulla scia del Petit abécédaire illustré di Georges Perec, una raccolta di sedici piccole storie, ciascuna concludentesi con una particolare chiave finale, foneticamente equivalente alla successione di una consonante via via accoppiata con le cinque vocali, Calvino tentò l'esperienza in italiano, laddove le difficoltà risultavano certamente maggiori a causa della modestissima possibilità di varianti fonetiche nella nostra lingua, oltre che per la scarsezza di parole terminanti in 'u'. Tra i raccontini di Calvino è notissimo quello che riferisce delle virtù e delle insistenze di una spogliarellista presso il proprietario di un night-club in vista di un'ambita scrittura: "Sa? Sessi isso sù!", frase che rispetta la successione fonetica SA-SE-SI-SO-SU.

Libera invece da raddoppi è la risposta di un'astuta portinaia, la quale ogni giorno si trova a dover rispondere alla medesima domanda rivoltale dall'amico della signorina del terzo piano: "Sa se c'è in casa ... ?". Il dialogo tra i due, dapprima un po' stentato e svogliato, pur con l'aiuto di buone mance, diviene alla fine spigliato e lapidario: "Sa se?.." - "Sì, so: sù!".

Un'altra delle storielle di Calvino è quella riferita alla successione BA-BE-BI-BO-BU: "Tutte le ragazze impazziscono per Bob, ma egli sembra insensibile alle loro lusinghe. Saputo che Bob parte per una crociera in India, Ulrica decide d'imbarcarsi sul medesimo piroscafo, sicura che le lunghe giornate di navigazione le saranno propizie alla conquista. All'amica Ludmilla, che si mostra scettica, Ulrica dice: "Vedrai, appena riuscirò a sedurlo, ti scriverò. Scommetto che sarà prima d'uscire dal Mar Rosso". Infatti, da Bad-el-Mandeb, Ludmilla riceve una laconica cartolina: "Bab. Ebbi Bob. U."".

Per la succesione LA-LE-LI-LO-LU ritorna il tema ... erotico con la bella Lou Salome, che, nei suoi inquieti amori con Nietzsche, avrebbe ben voluto provocare nell'amico una levitazione non solo spirituale, ma anche fisica. Battendosi le mani sulla fronte, il filosofo le rispondeva che solo la sua mente era dotata d'ali per innalzarsi: "L'ale lì l'ho, Lou!".

Una restrizione leggera è quella inventata da un gruppo di oulipiani (Perec, Fournel, Mathews e altri) sul nome di Montserrat Caballé: 101 metamorfosi omofoniche (o meglio parafoniche) giustificate da un preve pretesto. Il nome della cantante ritorna attraverso un "Mon Chirac a baillé" (il mio Chirac ha sbadigliato), sensazione espressa dall'allora Presidente Giscard a proposito di una disattenzione del suo primo ministro; oppure con la risposta, fantastica, di Maria Antonietta a Luigi XVI timoroso di andare alla ghigliottina; "Mon cher, t'as qu'à pas y aller!" (mio caro, non hai che non andarci!).

Nel metodo dell'OULIPO in primo luogo conta la qualità delle regole, la loro ingegnosità ed eleganza; se ad esse corrisponderà sùbito la qualità dei risultati ottenuti, tanto meglio; in ogni caso l'opera sarà un esempio delle potenzialità raggiungibili attraverso la strettoia di quelle regole.

Nessun oulipiano naturalmente pretende di sostenere che le proprie esercitazioni costituiscano vere e compiute opere letterarie: si tratta, in ogni caso, di esercizi che, in prospettiva, possono produrre nuove ed originali strutture compositive. Potrebbe sembrare, infatti, che queste performances non abbiano alcuna giustificazione, siano fine a sé stesse; ma, al di là di un tentativo di riabilitazione dell'artificio letterario, delle sue deformazioni o costrizioni strutturali, vi si può anche leggere il tentativo -quasi sempre riuscito- di liberazione dagli schemi e dalle forme abituali del comporre.

"Iprocedimenti oulipiani possono sembrare "vuoti"" -nota Harry Mathews - "ma sono in realtà proiettati in avanti. Dalla sperimentazione possono nascere abbozzi di idee o grandi opere. E' un modo di lavorare che obbliga ad essere il più possibile "materialisti", che costringe a mettere in dubbio il significato univoco di una parola, di una pagina, di un testo: dietro un senso ce n'è sempre un altro". Può capitare di prendere i prodotti dell'OULIPO come scherzi; potranno certo risultare divertenti, anche entusiasmare, ma se ci si fermasse a questo, se ne perderebbe la vera portata, poiché non si tratta affatto di uno scherzo poco serio, ma di un gioco molto serio.

E' certamente merito dell'OULIPO se Jacques Roubaud ha potuto concepire l'originale struttura de La bella Ortensia, che sconvolge i tradizionali canoni della narrazione e vi coinvolge lo stesso lettore: l'autore, i personaggi, il narratore, il lettore sono tutti insieme presenti, contemporanei protagonisti del romanzo.

E' sicuramente derivabile dalle attività oulipistiche la concezione della struttura di alcuni libri di Italo Calvino. E' oulipiano l'espediente "cornice" utilizzato per legare i vari brani di Se una notte d'inverno un viaggiatore, dieci inizi di romanzi, che sviluppano un nucleo comune nei modi più diversi. Calvino si era ispirato ai quadrati semiotici di Greimas e in Comment j'ai écrit un de mes livres ebbe a spiegare tutto il procedimento seguìto. E' oulipiano il principio della campionatura della potenziale molteplicità del narrabile, che sta alla base de Il castello dei destini incrociati, una macchina, spiega lo stesso Calvino, "per moltiplicare le narrazioni partendo da elementi figurali dai molti significati possibili come può essere un mazzo di tarocchi". Se una notte d'inverno un viaggiatore e Il castello dei destini incrociati sono opere nelle quali la struttura acquista un peso rilevante e determinante nell'economia generale del testo: esse meritano tutta l'attenzione possibile e incoraggiano lo sperimentalismo, il quale se pure non conduce al "capolavoro", porta (come nel caso di Calvino) ad una grande produzione di opere minori.

E' oulipiana la struttura del grande romanzo di Georges Perec La Vie mode d'emploi (Premio "Médicis" 1978). Tutto il romanzo è come una scatola contenente una moltitudine di romanzi; Perec immagina un palazzo parigino al quale sia stata tolta la facciata, di modo che tutti gli ambienti siano contemporaneamente visibili. La struttura è schematizzata da una sorta di scacchiera 10x10, dalle cantine alle mansarde, e Perec, ispirandosi alla progressione del cavallo nel gioco degli scacchi, tocca le varie caselle e crea tanti romanzi in uno. Nelle sue Lezioni americane, in quella sulla "molteplicità", Calvino giudicò La vita istruzioni per l'uso "l'ultimo vero avvenimento nella stroria del romanzo".

E' fortemente oulipiana l'origine de La Disparition, altro romanzo di Perec. In esso la regola lipogrammatica che presiede all'elaborazione del racconto si trasforma nella storia stessa narrata. E' vero, la vocale non esiste più, è scomparsa, ma la sua assenza riempie le pagine di una sorta di continua, crescente e silenziosa presenza: essa genera il racconto, fa vivere o per lo meno fa muovere e morire i suoi protagonisti. Utilizzando il gioco verbale Perec racconta e rappresenta una storia che lascia riconoscere quella propria e di altri (Perec era ebreo e i suoi genitori non scamparono ai campi di sterminio). Ma l'invenzione di Perec rielabora completamente gli elementi derivati da quel progetto irragionevole di voler distruggere un intero popolo: la storia del genocidio viene presa al rovescio e, alla follia antisemitica, Perec risponde con l'eliminazione, assolutamente incruenta, di una lettera dell'alfabeto; all'insensata e assurda violenza nazista, egli oppone deliranti stragi puramente linguistiche. La Disparition, d'altra parte, rappresenta anche la testimonianza diretta di un salvataggio, quello della lingua. La libertà del linguaggio si trova sempre contrapposta alla sua tirannide: evitare di usare una vocale costringe ad utilizzare una serie di artifici retorici e formali. Il romanzo diventa così la prova eclatante e convincentissima che l'assunzione di regole, anche le più dissennate, non è di alcuna limitazione all'attività letteraria.

E' oulipiano l'impianto di Sigarette dell'americano Harry Mathews, che introduce un meccanismo nuovo di romanzo, una sorta di "narrativa combinatoria": lo sviluppo della trama è ottenuto attraverso la presentazione dei vari protagonisti, a due a due, secondo diverse combinazioni. Le possibili accoppiate sono limitate secondo una regola non dichiarata, ma che si dimostra soddisfacente per la comprensione dell'intero testo. Il lettore si trova impegnato in un ingranaggio affascinante, in una lettura che implica una continua attenzione per ricostruire la vicenda attraverso le storie delle varie coppie di personaggi; le storie si sviluppano in archi di tempo diversi, ma non completamente, e quindi sono da sovrapporre l'una all'altra per la lettura globale del romanzo.

L'invenzione del "non libro", che informa tutto il volume di Marcel Bénabou Perché non ho scritto nessuno dei miei libri, così come quella alla base dell'altra sua opera Jette ce livre avant qu'il soit trop tard (Éditions Seghers, Paris, 1992), sono entrambe di chiaro sapore oulipiano.

Dopo la sua "proposta" di scientificizzare la storia (Une histoire modèle), Raymond Queneau tenta d'introdurre un po' d'ordine e un po' di logica in un mondo che ne è totalmente privo. L' "uscita dalla storia" è l'unica soluzione possibile e rappresenta il nucleo de Les fleurs bleues. "I due modi di considerare il disegno della storia, nella prospettiva del futuro o in quella del passato, si incrociano e si sovrappongono [...] In Les fleurs bleues "Queneau si prende gioco della storia negandone il divenire per ridurla alla sostanza del vissuto quotidiano" (Italo Calvino, Introduzione a I fiori blu, Einaudi, 1981). Il più oulipiano dei romanzi di Raymond Queneau, I fiori blu, è il più bello di tutti i suoi romanzi.

 

 

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